Carnevale in Calabria

Suzizze e suppressate

NELLA CULTURA POPOLARE CALABRESE VIENE RAPPRESENTATO COME UN FANTOCCIO

 IL CARNEVALE E GLI ECCESSI ALIMENTARI

 
LA NENIA COME ESPEDIENTE CULTURALE PER SUPERARE UN MOMENTO DIFFICILE

 

 
Nei tre giorni di Carnevale
ogni cuore umano mette da parte le proprie angosce e le proprie insoddisfazioni e si abbandona alle gozzoviglie e al divertimento più sfrenato.
Tanti sono i cortei mascherati
che si organizzano in questi
giorni insieme a sfilate di
carri allegorici e feste in maschera.

Oggi le manifestazioni carnevalesche sono un po’ simili ovunque; il preciso scopo è quello di divertire il pubblico e dimostrare l’abilità e il gusto dell’artigianato locale che si esprime nei carri sempre più fantasiosi, nei costumi
 e nelle maschere variopinte. La pomposità e lo sfarzo che regna
 nel periodo di Carnevale ha fatto perdere di vista quello che è il suo vero significato. Difatti sono pochi quelli che ravvisano
 in questa festa un periodo di rinnovamento e una fine-principio d’anno che insieme alla Quaresima introduce alla Pasqua.

Nella cultura popolare calabrese il Carnevale viene rappresentato come un fantoccio, subisce cioè un processo di personificazione.

Una struttura consolidata e condivisa dalle comunità calabresi della vicenda del personaggio “Carnevale”, tenendo ovviamente conto che esistono decine di varianti, è la seguente: Carnevale consuma un enorme pasto; in seguito appare sofferente per aver mangiato troppo. Un parente (in alcune località è Pulcinella, maschera napoletana presa in prestito dalla commedia dell’arte) ne dà notizia al pubblico. Si mandano a chiamare i Medici (di solito sono in due e si esprimono in italiano. Simbolizzano la cultura ufficiale). Carnevale morente detta il testamento al Notaio e chiede l’assoluzione al Prete. Morto Carnevale, Coraìsima, la moglie, piange il marito. Tutti piangono Carnevale e infine il “fantoccio” viene bruciato in piazza. Alla morte di Carnevale segue il funerale e lo si accompagna con queste parole:

 

“E’ mùortu lu nànnu…lu nànnu murìu….

ppì fin’a natr’annu ‘nun pìpita ‘cchiù...

Lu nànnu murìu…lassàu li pompi,

lu jòcu e lu sciàlu….’nun vènanu ‘cchiù….!”

 

(Trad. E’ morto il nonno…il nonno è morto…fino ad un altro anno non parlerà più….Il nonno morì…lasciò il lusso, il gioco e lo svago…non tornano più…!).

 

  Questa nenia, seppur fittizia, dovrà funzionare come espediente           culturale     per   poter superare il momento cruciale in cui viene messa
 in discussione persino la propria esistenza.

 Ma trattandosi di rito funerario simbolico, è evidente l’intenzione parodistica  della vicenda: si piange il morto per inneggiare alla vita.

Il Carnevale segna la fine dell’inverno, che è un periodo di fame e di ristrettezze, per lasciare il posto alla primavera in cui l’umanità si risveglia per dedicarsi a quelle attività produttive che portano ricchezza in tutte le case. In pratica, è come se la comunità giocasse alla morte in un rituale che conduce alla via della liberazione.

Morte che arriva per eccessi alimentari a base di salsicce, sopressate e frittole facendo riemergere nella mente del popolo antichi sogni di abbondanza.

In un tempo in cui ci si cibava con alimenti di fortuna (erbe selvatiche mal condite) e l’approccio con la carne avveniva solo in qualche festa comandata, il “fantoccio Carnevale” con tutto il ben di Dio che ha intorno non può non rappresentare le aspirazioni di un popolo logorato dalla miseria. Singolare è il pianto di “Coraìsima” che, vestita a lutto, piange il venerato sposo strappandosi i capelli e lanciando urla strazianti. Dopo la morte del marito, ella digiunerà per quaranta giorni fino al lunedì di Pasqua.

 

 

                                                                               Carlo Grillo

 

(Presidente Ass. Cult. “Calabria Logos” per la riscoperta e la rivalutazione delle tradizioni popolari calabresi)

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       ::Carlo Grillo::